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IL NON-ATTACCAMENTO

  • Immagine del redattore: Silvia Sciacca
    Silvia Sciacca
  • 31 mar 2020
  • Tempo di lettura: 4 min

I periodi di crisi, come quello che stiamo affrontando in questo momento in Italia, possono risultare particolarmente duri e difficili, ma possono altresì portare interessanti spunti di riflessioni utili all'evoluzione del nostro Essere più profondo.

Le restrizioni a cui siamo sottoposti, i divieti, i limiti di spostamento, possono portare a galla tutto il disagio legato al cambiamento delle nostre abitudini.

Questo, d’altro canto, può rappresentare un’importante occasione per porci delle domande: “Quanto siamo legati alle nostre abitudini? Quanto siamo attaccati alle nostre routine così come alle persone e agli oggetti che ci circondano? Siamo davvero sicuri di non poterne fare a meno?”

Sappiamo tutti che è possibile rinunciare ad abitudini o oggetti ma non siamo assolutamente abituati a farlo, men che meno riusciamo a distaccarci dalle persone.

La nostra cultura associa spesso il chi siamo al ciò che abbiamo o facciamo, così, se ci troviamo a non avere o a non poter fare certe cose ci sentiamo persi, come se stessimo perdendo la nostra stessa identità.

Allora, poiché nulla nella vita avviene per caso, proviamo a cogliere l’opportunità di questo momento per fare un passo avanti nella nostra evoluzione personale, che poi, in verità, non è mai svincolata da quella sociale.

Il concetto di non-attaccamento è un concetto molto antico, legato alle tradizioni sapienziali orientali, in particolare al buddismo e legato all'idea che tutto in questo mondo è impermanente.

La nostra vita su questa terra è solo un passaggio, un viaggio, per cui nulla ci appartiene veramente. Dobbiamo liberarci dall'idea del possesso, perché è proprio questa idea che ci porta alla sofferenza.

L’attaccamento a un posto di lavoro, ad alcune persone, agli oggetti o a una fede (politica o religiosa che sia), alimenta la paura di perdere, un giorno, questi punti fermi della nostra vita. Se le cose vanno male, come a volte può succedere, il dolore può bloccare la nostra evoluzione.

Praticare il non-attaccamento non significa estraniarsi dalla realtà oppure vivere in modo egoistico e distaccato dagli altri. Anzi!

Il non-attaccamento è una caratteristica delle persone in grado di compiere azioni positive, completamente disinteressate, nella loro vita quotidiana. Si tratta dunque di un elemento fondamentale del servizio agli altri e al mondo che ci circonda.

Ci troviamo oggi in una situazione concreta ben precisa. Abbiamo paura di perdere le persone care a causa di circostanze che ci allontanano fisicamente gli uni dagli altri.

Non dobbiamo però dimenticare che tutto è temporaneo in questo mondo, anche la vicinanza delle persone che amiamo.

Questa è forse una delle situazioni più difficili per praticare il non attaccamento, ma se vogliamo davvero il bene delle persone che amiamo, dobbiamo essere in grado di lasciarle andare, non avere paura e non sentirci in ansia per questo cambiamento.

Niente accade per caso. Dunque accettare il momento per quello che è significa accettare che tutto sta andando come deve andare e che non dobbiamo aspettarci nulla di diverso.

Certo non è facile, ci vuole disciplina e costanza nell'imparare ad osservare i nostri attaccamenti e desideri per poi staccarcene, nella consapevolezza che non sono cose nostre, non sono parte di noi ma dell’esperienza che stiamo facendo in questa vita.

Ma se impariamo a farlo ci accorgiamo che nel momento in cui contempliamo i desideri e li ascoltiamo, allora non ne siamo più attaccati: li lasciamo semplicemente essere ciò che sono. In questo modo sperimentiamo che il desiderio, origine della sofferenza, può essere messo da parte e lasciato andare.

Quindi, per riuscire a “lasciar andare” dobbiamo imparare ad accettare che le cose siano come sono: ciò non vuol dire ignorarle o reprimerle, ma piuttosto osservarle, farne esperienza e poi lasciarle andare.

Quello che spesso ci capita è che di fronte alla sofferenza ci nascondiamo, scappiamo, ci rifiutiamo di accoglierla. Praticare il non-attaccamento non significa vivere distaccati dalla realtà e non accettarla. La nostra realtà sta nell'oggi e in ogni gesto quotidiano, nel preciso momento in cui stiamo vivendo e in ciò che ci sta accadendo.

Dobbiamo imparare ad accettare anche la sofferenza perché, così come la felicità, fa parte della vita.

Una volta compreso questo aspetto, ci sentiremo liberi interiormente e potremo aiutare gli altri a ritrovare la loro libertà.

Una volta appresa questa verità ci renderemo anche conto che la nostra felicità non dipende dagli altri, non è cioè legata alla presenza o all'assenza di determinate persone nella nostra vita, alle loro parole o alle loro azioni.

Esiste piuttosto dentro di noi un punto dove possiamo riconoscere la vera felicità che è sempre presente e che non può finire mai. È quella parte di noi con cui entriamo in contatto quando meditiamo; quella parte profonda e silenziosa che ci fa provare una immensa pace e gioia senza un motivo. È lì che ci dobbiamo concentrare.

Poi magari le preoccupazioni della vita quotidiana tornano. Ma noi sapremo che ogni volta che lo vorremo potremo ritornare proprio in quel punto, nascosto dentro di noi, dove la felicità esiste e non dipende da niente a da nessuno.

Il Buddha disse: “Dall'attaccamento sorge il dolore, dal dolore sorge la paura. Per colui che è totalmente libero, non c’è attaccamento, non c’è dolore, non c’è paura”.

Per concludere si può dire che il non-attaccamento significa abbandono del desiderio di possesso rivolto alle cose o alle persone; significa, in due parole: AMORE E LIBERTÀ.

 
 
 

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